A partire dal gennaio del 2020 - in forza dell’articolo 1, comma 578, della legge del 27 dicembre 2017, n. 205 - le banchine e le aree scoperte dei porti adibite alle operazioni e ai servizi portuali, nonché quelle adibite al servizio passeggeri (compresi i croceristi), di competenza delle Autorità di sistema portuale e le connesse infrastrutture stradali e ferroviarie, i depositi ivi ubicati strettamente funzionali alle predette operazioni e servizi, vanno censiti nella categoria E/1, anche se affidati in concessione a privati. La novella merita particolare attenzione dal momento che immediata conseguenza di tale classamento in categoria E/1 è la non debenza dell’IMU sui predetti immobili. Si tratta, dunque, di una norma potenzialmente idonea a porre fine ai numerosissimi contenziosi che, oramai da oltre un decennio, interessano i porti italiani con riferimento ai criteri di accatastamento dei magazzini demaniali e la conseguente debenza dell’IMU da parte dei concessionari.
Sebbene la norma appaia chiara nello stabilire i requisiti necessari per il classamento in categoria E/1, sono già sorti i primi contenziosi contro l’Agenzia delle Entrate: da alcune settimane, infatti, appena cessata la sospensione - disposta a causa della pandemia- delle notifiche degli atti impositivi, numerosi concessionari portuali sono stati destinatari di avvisi di accertamento e rettifica del classamento, con cui l’Ufficio ha contestato il censimento in categoria E/1 degli immobili, richiesto nel corso del 2019 in applicazione del già ricordato art. 1, comma 578, della legge n. 205/2017. In alcuni casi, l’Ufficio ha eccepito la mancanza del requisito di “stretta funzionalità” dei depositi, requisito che in realtà è ritenuto ex lege sussistente in presenza di autorizzazione alle operazioni e ai servizi portuali rilasciata dalla competente Autorità di sistema portuale ai sensi dell’articolo 16, comma 3, della legge n. 84 del 1994.
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