di Amalia Di Carlo
Intervista a Michael Di Palma: l’esperienza di TopLegal e gli Studi Associati
Domanda: Dottor Di Palma, TopLegal è presente come testata di riferimento nel mercato italiano per il settore degli Studi Legali dal 2004. Come suo editore e direttore responsabile, può dirci come si è evoluto questo settore nell’ultimo decennio?
Risposta: I cambiamenti sono stati davvero tanti, ma teniamo conto che ci sono anche fenomeni restati immutati nel tempo. Ad esempio è ancora presente, come dieci anni fa, la propensione italiana alla frammentazione degli Studi. Il mercato è tuttora instabile e assistiamo quotidianamente a ‘cambi di poltrona’. In Italia gli Studi hanno marchi spesso ancora caratterizzati dai nomi dei fondatori (che quasi inevitabilmente scompaiono al loro ritiro). Viviamo però ormai in un'altra epoca, e la lunga crisi economica ha sovvertito numerose dinamiche: si pensi al ruolo dei general counsel, che hanno acquisito nelle proprie aziende maggior potere decisionale e libertà di azione.
D.: Ce ne parla più in dettaglio?
R.: I direttori degli affari legali devono prestare la massima attenzione al budget e hanno maggiori aspettative sui servizi di assistenza legale forniti dagli Studi. Il rapporto con gli Studi è meno personalizzato, considerando ad esempio le procedure competitive per il conferimento di nuovi incarichi. Le aziende si sono evolute e gli Studi hanno dovuto adottare una visione più a lungo termine, con maggiore attenzione alla sostenibilità, al passaggio generazionale e all'istituzionalizzazione. C'è più condivisione fra aziende e Studi in tema di valori. Il mercato italiano è sicuramente più maturo ed esprime professionalità riconosciute anche a livello internazionale. Si considerino i professionisti italiani che oggi occupano posizioni di vertice in Studi multinazionali, molti di più rispetto ai rari esempi di un decennio fa.
D.: Come si raffrontano gli Studi italiani e quelli di matrice anglosassone?
R: Secondo me la distanza è minore, almeno rispetto ai grandi Studi italiani, che negli anni hanno acquisito una più netta corporate identity. Per Studi di piccole e medie dimensioni il cambiamento è meno marcato: in assenza spesso di chiari principi di governance, con strutture ancora troppo verticistiche in cui dominano i fondatori, nei rapporti con i clienti basati su relazioni essenzialmente personali, risulta carente la parte ‘terziaria’, il collegamento con le aziende e la strategia di marketing (a volte del tutto assente).
D.: E invece gli Studi più grandi?
R: In Italia la contaminazione con gli Studi anglosassoni si è affermata a partire dagli anni novanta, nel confronto con le best practice delle law firm internazionali. Ne è conseguita appunto l’attenzione al marketing, la comunicazione, l’informatica. Forse inizialmente si è lavorato meno su altri aspetti fondamentali, tipici del settore legale internazionale: la governance, la gestione della partnership. Ma proprio le difficoltà imposte dalla crisi economica hanno spinto a un ulteriore cambiamento anche per questi elementi, con adozione di nuovi modelli gestionali, sicuramente meno verticistici, anche in Italia.
D.: Nei campi specifici oggetto della consulenza legale, che evoluzione c’è stata?
R.: Molti Studi hanno iniziato a proporre i propri servizi in modo più integrato, tenendo conto dei settori in cui operano i clienti: e se per determinate materie vi è uno sviluppo ‘ciclico’ (si pensi alla consulenza per le energie rinnovabili e il settore immobiliare, ora sicuramente di minor peso nel panorama legale), in altri campi abbiamo assistito a fenomeni di alternanza. Per esempio il posto delle grandi operazioni straordinarie di un tempo (fusioni, acquisizioni, quotazioni) è stato spesso occupato da ristrutturazioni, operazioni sul debito, contenziosi. Ma sono presenti anche fenomeni ‘di ritorno’, come la finanza strutturata: data per scomparsa all’indomani del crollo di Lehman Brothers, è tornata di attualità per le nuove cartolarizzazioni.
D.: Previsioni per il prossimo quinquennio?
R.: Nell’attuale scenario di crescita economica minima possiamo attenderci un consolidamento del comparto legale. Meno Studi quindi, e più combinazioni soprattutto fra realtà di medie dimensioni, con posizionamento poco specifico. Più segmentazione nelle tipologie di offerta, maggior ruolo della tecnologia (con conseguente ‘rischio commodity’), crescente attenzione al passaggio generazionale. E nuove opportunità di ampliamento all'estero, per intercettare flussi di lavoro non ristretti all'Italia. Ma senza abbandono delle particolarità del mercato italiano e della sua cultura distintiva, con equilibrio fra innovazione e tradizione.
D.: Da ultimo, com’è cambiato TopLegal in questi anni?
R.: Molto sotto il profilo organizzativo e gestionale, ma restando coerenti con la nostra proposta editoriale. La nostra prima missione è stata di promuovere la cultura di un’informazione professionale e imparziale, riducendo l’opacità e autoreferenzialità degli Studi. Ci siamo avvicinati sia alle attività degli Studi che a quelle dei responsabili aziendali degli affari legali, così da fornire una prospettiva equilibrata fra offerta e domanda di servizi legali. Questo giornalismo attento, informato e credibile è la strada su cui oggi continuiamo.