Natura giuridica delle attività di accreditamento, tra normativa comunitaria e nazionale

di Emanuele MONTEMARANO ed Emanuele RIVA

 

È da molti anni che si discute sulla natura giuridica delle attività di accreditamento e sulla possibile configurazione dei valutatori o del personale coinvolto nel processo di accreditamento quale incaricati di pubblico servizio, o pubblici ufficiali.

Il dibattito ha ricevuto poi un’inevitabile accelerazione con l’entrata in vigore del Regolamento UE 765/08 che, nel disciplinare a livello comunitario la materia, espressamente qualificato tale attività come espressione di pubblica autorità, ance a prescindere dalla formale veste giuridica dei singoli organismi nazionali di accreditamento.

ACCREDIA ha di recente impostato una prima riflessione organica su questo tema, costituendo a tale scopo un team di Avvocati[1], i quali hanno elaborato un parere poi approvato dal Consiglio Direttivo di ACCREDIA in data 2 maggio 2016.

Si precisa che il parere è relativo alle attività di accreditamento e non di certificazione, anche se alcune conclusioni del ragionamento potrebbero essere estese, quanto meno per analogia, anche al settore della valutazione della conformità.

 

A quanto premesso vanno poi aggiunte due considerazioni:

a) la materia dell’accreditamento e della valutazione di conformità è del tutto nuova come oggetto di studio dal punto di vista giuridico, sicché si tratta di uno “studio pionieristico” che avrà bisogno di consolidamento nei prossimi anni, anche dal punto di vista, fondamentale per il diritto vivente, delle interpretazioni giurisprudenziali;

b) già nelle settimane successive all’approvazione del parere si sono verificate alcune circostanze di cui si deve tenere conto ai fini delle considerazioni oggetto del presente articolo.

 

A)         Alcuni dubbi e alcuni punti fermi

Pur nella complessiva incertezza dell’argomento, è possibile individuare alcuni punti fermi (almeno allo stato attuale di normativa, dottrina e giurisprudenza), essenziali per poi estendere ulteriormente la nostra analisi.

  1. ACCREDIA, in base al proprio Statuto, è un soggetto di diritto privato senza scopo di lucro, che non riceve e quindi non spende denaro pubblico;
  2. ACCREDIA svolge un ruolo di Pubblica Autorità nell’interesse generale, in base al Regolamento n. 765/2008;
  3. Opera sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico;
  4. In base all’attuale classificazione operata da ANAC sugli enti privati interessati alla normativa anticorruzione, ACCREDIA risulta essere un ente partecipato (e non quindi come Ente sotto controllo pubblico). In quanto tale, ACCREDIA è esonerata dal rispetto degli obblighi previsti dalla normativa anticorruzione per gli enti controllati dalla Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento a piano triennale anticorruzione, piano per la trasparenza né e nomina del Responsabile per la Prevenzione della Corruzione;
  5. ACCREDIA, proprio in quanto ente partecipato, è comunque tenuta ad adottare su base volontaria una serie di protocolli di legalità connessi all’effettivo rischio di corruzione riferibile alla sua attività, sotto la vigilanza del MISE e ANAC (e già ha adottato nell’ultimo biennio numerose azioni al riguardo);
  6. ACCREDIA deve operare alle stesse condizioni degli altri organismi di accreditamento nel rispetto del principio del mutuo riconoscimento (IAF e EA MLA);
  7. le controversie relative ai processi di certificazione ed accreditamento sono di competenza del giudice ordinario poiché riguardano diritti soggettivi e non interessi legittimi, come chiaramente stabilito dalla recentissima giustizia amministrativa;
  8. Anche nel settore regolamentato, l’accreditamento è un presupposto di successivi provvedimenti amministrativi che producono effetti giuridici di diritto pubblico in capo ai loro destinatari (altro principio contenuto in recente sentenze del TAR Lazio).

Detto ciò, rimangono da risolvere alcuni punti dubbi, di rilevante importanza, che si vogliono a riassumere qui di seguito:

  1. all’interno di ACCREDIA operano persone qualificabili come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio? La differenza tra queste due categorie è significativa?
  2. Il personale ACCREDIA ha l’obbligo, almeno in alcuni casi, di riferire ad altre amministrazioni, comprese le forze dell’ordine in caso di possibili illeciti di cui venga a conoscenza, in merito ai contenuti della propria attività di verifica?
  3. In caso affermativo, tale obbligo (e la connessa responsabilità in caso di omissione) grava sul singolo addetto dell’ente o solo su alcuni livelli apicali?
  4. L’eventuale dovere di vigilanza e segnalazione di illeciti alle forze dell’ordine riguarderebbe solo fatti commessi direttamente dai CAB o anche eventuali comportamenti di soggetti terzi, quali ed esempio le aziende presso le quali si svolgono le verifiche in accompagnamento?
  5. Il dovere di vigilanza sui destinatari dell’attività di accreditamento e di segnalazione in caso di presunti reati da costoro commessi a quali attività del soggetto accreditato va riferita, essendo pacifico che ACCREDIA non svolge alcuna vigilanza di carattere generale sui CAB?
  6. Se l’accreditamento è un presupposto per eventuali provvedimenti amministrativi, l’iter di accreditamento è un procedimento amministrativo?
  7. L’attuale organizzazione di ACCREDIA è adeguata rispetto alle problematiche esposte nei punti precedenti?

Per provare a dare una risposta a queste domande, si deve innanzitutto ragionare su quale sia la natura giuridica di ACCREDIA.

 

B)         Duplice natura dell’attività di accreditamento e dell’ente che ne è preposto in Italia

Allo stato attuale della normativa sembra difficile, se non impossibile, escludere che l’attività di accreditamento sia caratterizzata, sia nel settore regolamentato che in quello volontario, da un forte profilo pubblicistico (il che, come premesso, è perfettamente compatibile con la natura soggettiva di diritto privato che ACCREDIA possiede).

Alcuni riferimenti confermano facilmente questa prima conclusione:

1.     il Regolamento n. 765/2008 riconosce la funzione pubblica dell’accreditamento «Qualora l’accreditamento non sia effettuato direttamente dalle stesse autorità pubbliche, gli Stati membri incaricano il proprio organismo nazionale di accreditamento di effettuare l’accreditamento quale attività di autorità pubblica e gli conferiscono un riconoscimento formale (Articolo 4 comma 5 del Reg. 765/08)»;

2.     il Decreto Interministeriale 22 dicembre 2009 con il quale ACCREDIA è stata designata come Organismo Nazionale Italiano di Accreditamento riporta chel’accreditamento, indipendentemente dall’utilizzo su base obbligatoria o volontaria previsto, sia effettuato come attività di interesse pubblico;

3.     un autorevole magistrato della Corte dei Conti ha chiarito, in uno scritto molto puntuale relativo alla categoria degli enti privati che svolgono funzioni di pubblico interesse e proprio con riferimento alle certificazioni ISO, che «appartiene alla sfera pubblicistica qualunque atto, posto in essere anche da parte di soggetti privati, che sia in concreto idoneo a soddisfare interessi pubblici e collettivi»;

4.     il Consiglio di Stato ha ricordato «la nozione di servizio pubblico nel suo significato giuridico potenzialmente più vasto, quale attività, di qualsiasi natura, connessa alla cura di interessi collettivi, sia essa svolta da Soggetti pubblici o privat»;.

5.     ACCREDIA opera con il riconoscimento dello Stato e sotto la vigilanza istituzionale del Ministero dello Sviluppo Economico;

6.     il Consiglio di Stato si è espresso in merito alle SOA:«l’attività espletata dalle Società Organismi di Attestazione (S.O.A.) integra una funzione pubblica di certificazione, mediante emissione degli attestati di qualificazione…».

 

Ciò non esclude comunque che ACCREDIA rimanga un ente di diritto privato e che, stando all’attuale orientamento della giustizia amministrativa, la giurisdizione sulle controversie in materia di accreditamento appartenga al giudice ordinario (riguardando diritti soggettivi e non interessi legittimi).

A supporto di tale, prevalente, natura privatistica soccorrono almeno i seguenti elementi:

 

  1. ACCREDIA è una Associazione privata con partecipazione pubblica;
  2. I rapporti tra ACCREDIA e i CAB sono di natura contrattuale e i provvedimenti di ACCREDIA non sono autorizzazioni amministrative;
  3. La Sentenza del TAR (n. 2849 del 2016) ha:
  1. rimandato alla magistratura ordinaria e non alla magistratura amministrativa una vertenza che ha visto coinvolta ACCREDIA;
  2. affermato che «l’accreditamento di ACCREDIA non costituisce un provvedimento amministrativo»;
  3. Aggiungendo che «l’atto di ACCREDIA può essere considerato un atto preparatorio non autoritativo ponendosi, rispetto a quello autenticamente provvedimentale, come presupposto»;
  4. La perdita dell’accreditamento non genera in automatico il decadere di una autorizzazione amministrativa, anche se questa si sia basata sull’accreditamento come presupposto;
  5. la legge n. 241/1990 individua i criteri ed i principi da Osservare nell’emissione del provvedimento amministrativo, anche da parte dei Soggetti privati che operano in regime di pubblico servizio. ACCREDIA però deve rispettare la ISO 17011, e i suoi principi, e alla luce di questa anche i principi della Pubblica Amministrazione (ad esempio: imparzialità intesa come garantire il contraddittorio in ogni fase del processo di accreditamento, o principio di democraticità – le norme non sono basate sulla democrazia, ma sul processo normativo). Si chiarisce comunque che ACCREDIA rispetta i principi di economicità, efficienza ed efficacia, e imparzialità.

 

Da questa duplice natura non può che ricavarsi la seguente conclusione: in ACCREDIA la natura privatistica dell’ente ben può convivere con l’interesse pubblico al corretto svolgersi dell’attività di accreditamento, garantito peraltro, senza necessità di particolari modifiche alle procedure in vigore, dal puntuale rispetto della normativa tecnica internazionale che presiede all’attività di accreditamento e che è alla base del principio del mutuo riconoscimento. Infatti:

  1. Se ACCREDIA non rispettasse la ISO/IEC 17011 (preferendo conformarsi ai principi richiamati dalla legge 241), perderebbe il riconoscimento di EA, condizione essenziale per essere ritenuto Ente Unico nazionale di Accreditamento.
  2. Il Regolamento n. 765/2008 riconosce il mutuo riconoscimento delle certificazioni in ambito EA MLA, cosa ben diversa da quanto succede quando occorre riconoscere il valore giuridico di una sentenza straniera (Giudizio di delibazione: il magistrato italiano valuta se la sentenza strani era non sia contraria ai principi dell’ordinamento giuridico italiano).

Le conclusioni raggiunte valgono per tutti gli ambiti, perché il Regolamento n. 765/2008 e la ISO/IEC 17011 si applicano sia all’ambito cogente che regolamentato.

 

Ciò non toglie che ACCREDIA, sia su base volontaria (anche nell’ambito del proprio Modello Organizzativo adottato secondo il D. Lgs. 231/01 fin dalla costituzione di ACCREDIA) che recependo le indicazioni dell’autorità nazionale anticorruzione e del Ministero per lo Sviluppo Economico, abbia da tempo promosso l’impegno ad adottare protocolli di legalità, diretti a rafforzare gli strumenti del controllo interno proprio a garanzia dell’interesse generale all’affidabilità ed imparzialità del processo di accreditamento ed all’assenza di qualunque interesse particolare in grado, anche solo potenzialmente, di rendere meno corretta od efficace l’attività di ACCREDIA.

 

C)         Discussione in merito al possibile ruolo di chi opera per Accredia quale pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio

Posto che, sul piano civilistico ed amministrativo, l’attività di accreditamento non può che appartenere alle categorie del diritto privato, il forte profilo pubblicistico dell’attività rende necessario affrontare un’ulteriore questione, vale a dire se sia o meno possibile sostenere che il personale che opera per conto di ACCREDIA possa essere classificato, ai fini dell’applicazione dagli articoli 357 e 358 del Codice Penale[2]., quale Pubblico Ufficiale[3] e Incaricato di Pubblico Servizio[4][5].

Ciò provocherebbe due importanti conseguenze:

  • obbligo di denuncia di reati procedibili d’ufficio conosciuti nell’esercizio della propria attività;
  • possibilità di commettere i reati propri dell’incaricato di pubblico servizio (corruzione, concussione, abuso d’ufficio, omissione d’atti d’ufficio, falso su atto pubblico...).

Utilizzando categorie proprie dell’attuale dottrina e giurisprudenza di diritto penale, pochi dubbi residuano al proposito, come testimoniano i seguenti riferimenti:

  • Anche se svolta all’interno di organizzazioni private: «la qualità di Pubblico Ufficiale, per i Componenti di un Organismo collegiale cui la legge attribuisce l’esercizio di pubbliche funzioni, sussiste anche quando la loro individuazione avvenga, per disposizione normativa, a cura di Enti di diritto privato ed in rappresentanza di essi.» (Cass. Penale, sez. II, 12/11/2013, n.9053);
  • Se la funzione è pubblicistica: «la qualifica di Pubblico Ufficiale segue la destinazione pubblicistica delle attività svolte dall’Agente, anziché il nomen iuris dell’Ente di appartenenza» (Cass. Penale, sez VI, 03/12/2012, n.1053);
  • Anche se l’attività è accessoria o propedeutica: «è Pubblico Ufficiale non solo colui che con la sua attività concorre a formare quella dello Stato o di altri Enti Pubblici, ma anche chi è chiamato a svolgere attività, avente carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali degli Enti Pubblici, in quanto anche in questo caso si verifica, attraverso l’attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà della Pubblica Amministrazione» (Cass. Penale, sez. VI, 20/10/2010, n.39351, nello stesso senso anche Cass. Penale, sez. VI, 11/04/2014, n. 22707).
  • Anche se svolta da personale non dipendente dalla PA: «riveste la qualifica di Incaricato di Pubblico Servizio il dipendente di una Società privata esercente un servizio pubblico che svolge attività di maneggio di denaro di pertinenza dell’Ente con correlativi obblighi di compilazione della documentazione contabile» (Cass. Penale, sez. VI, 30/10/2014, n.7593).

Ciò premesso, va aggiunto che la qualifica d’incaricato di pubblico servizio andrebbe limitata alle persone fisiche che ricoprono un ruolo decisionale rispetto al processo di accreditamento in tutte le sue fasi (rilascio, mantenimento, sospensione, revoca) o comunque diretto ad influenzare in modo significativo tali provvedimenti. Probabilmente chi collabora con le proprie azioni al processo di accreditamento (Ispettori, Funzionari Tecnici, Responsabili di area, Direttori), limitatamente ai vari passaggi dell’iter di accreditamento negli ambiti in cui l’accreditamento svolge una funzione pubblicistica (sicuramente per gli ambiti in cui l’accreditamento è condizione essenziale per il rilascio di una autorizzazione amministrativa; da valutare per gli ambiti in cui l’attività di valutazione della conformità accreditata viene utilizzata in gare pubbliche).

Il ruolo di incaricato di pubblico ufficiale (che comunque, sul piano pratico, non determina responsabilità ulteriori rispetto ai “semplici” incaricati di pubblico servizio)  andrebbe limitato a chi detiene il potere «certificativo» (connesso solo all’attività di accreditamento), cioè l’organo di delibera; gli ispettori o la struttura interna di ACCREDIA infatti si limitano a proporre, ma non prendono decisioni in merito all’accreditamento.

 

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni sopra riportate, si possono concentrare in quattro punti le conclusioni del ragionamento, fermo restando che, come premesso, si tratta di un “cantiere aperto”:

  1. L’accreditamento rilasciato da ACCREDIA non è qualificabile come provvedimento amministrativo, quindi non rientra nella giurisdizione dei TAR e l’iter di accreditamento non è un procedimento amministrativo ai sensi della legge n. 241/90;
  2. Svolgendo comunque una funzione di interesse pubblico in base alla normativa comunitaria, il personale ACCREDIA potrebbe essere configurato come incaricato di pubblico servizio / pubblico ufficiale ai sensi delle responsabilità previste dal codice penale per tali figure (responsabilità diretta per omessa denuncia, eventuale corresponsabilità nel reato per l’articolo 40 del codice penale a causa dell’omessa vigilanza);
  3. Poco rilevante ai fini pratici la differenza tra incaricato di pubblico servizio e pubblico ufficiale, sicché il ragionamento può essere svolto in modo unitario;
  4. Il dovere di vigilanza (e quindi di segnalazione e d’impedimento di reati) va comunque ricondotto all’interno di due chiari limiti, oggettivo (solo le attività che rientrano nello scopo di applicazione dell’audit e le cui risultanze sono inserite nei rapporti di verifica) e soggettivo (solo per i CAB, essendo totalmente precluso al personale ACCREDIA qualsivoglia sindacato sulle attività delle aziende certificate dai CAB).

Sulla base di questa fotografia dello stato dell’arte, la Direzione di ACCREDIA, anche in accordo con il proprio Organismo di Vigilanza, procederà nei prossimi mesi a definire specifici protocolli, differenziati eventualmente per i vari Dipartimenti, diretti a regolamentare più in dettaglio l’iter da seguire a fronte dell’evidenza, durante l’attività di accreditamento, di comportamenti dei CAB che potrebbero configurare illeciti penali procedibili d’ufficio, anche con la possibile individuazione di una “casistica tipo” da condividere con l’intera platea dei soggetti interessati.

In tale ambito, preziosi strumenti di lavoro ed occasioni di riflessione potrebbero scaturire dalla possibilità, per il settore dell’accreditamento e della certificazione di conformità, di adottare, ed eventualmente far certificare, il sistema di gestione a fronte della nuovissima  normativa internazionale anticorruzione (ISO 37001).

 

Emanuele MONTEMARANO
Presidente dell’Organismo di Vigilanza di ACCREDIA
Responsabile territoriale per il Lazio di ASLA – Associazione degli Studi Legali Associati

 

Emanuele RIVA
Direttore del Dipartimento Certificazione ed Ispezione di ACCREDIA
Vice Presidente di IAF, International Accreditation Forum



[1]   Avv. Emanuele Montemarano, Avv. Enrico Squintani, Avv. Lorenzo Grisostomi Travaglini

[2]   Questi alcuni dei reati applicabili a chi opera con il ruolo di Pubblico Ufficiale

-      317 c.p.: concussione (riforma del 2012 e controriforma del 2015);

-      318 c.p. e 319 c.p.: corruzione per l’esercizio della funzione;

-      319 bis. C.p.: induzione indebita a dare o promettere utilità (c.d. concussione per induzione)

-      323 c.p.: abuso d’ufficio: procurarsi un illecito vantaggio patrimoniale abusando della qualifica;

-      326 c.p.: rilevazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio: l’incaricato di pubblico servizio divulga all’esterno notizie che devono rimanere riservate;

-      328 c.p.: omissione e rifiuto di atti d’ufficio;

-      361 c.p.: omessa denuncia di reato: solo per i reati di cui abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa del servizio, se il reato è procedibile d’ufficio;

-      480 c.p.: falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in certificati o uso di atto falso da parte di chi non ha concorso alla falsificazione (481 c.p.).

 

[3]   La qualifica di Pubblico Ufficiale va attribuita a tutti quei Soggetti che esercitano almeno una di queste funzioni:

•     Disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi;

•     Caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della Pubblica Amministrazione;

•     Che si svolge per mezzo di poteri autoritativi e certificativi.

[4]   Incaricato di Pubblico Servizio è colui che, a qualunque titolo, presta un pubblico servizio, ovvero «un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine o attività di carattere puramente materiale/esecutivo».

[5]   Questi alcuni dei reati applicabili a chi opera con il ruolo di Pubblico Ufficiale

-      317 c.p.: concussione (riforma del 2012 e controriforma del 2015);

-      318 c.p. e 319 c.p.: corruzione per l’esercizio della funzione;

-      319 bis. C.p.: induzione indebita a dare o promettere utilità (c.d. concussione per induzione)

-      323 c.p.: abuso d’ufficio: procurarsi un illecito vantaggio patrimoniale abusando della qualifica;

-      326 c.p.: rilevazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio: l’incaricato di pubblico servizio divulga all’esterno notizie che devono rimanere riservate;

-      328 c.p.: omissione e rifiuto di atti d’ufficio;

-      361 c.p.: omessa denuncia di reato: solo per i reati di cui abbia avuto notizia nell’esercizio o a causa del servizio, se il reato è procedibile d’ufficio;

-      480 c.p.: falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in certificati o uso di atto falso da parte di chi non ha concorso alla falsificazione (481 c.p.).