28Giu2016

Gli avvocati e la sfida imprenditoriale del nuovo millennio

di Amalia Di Carlo

La professione legale deve adattarsi al ventunesimo secolo: l'Avv. Giuseppe Giacomini ci parla delle trasformazioni radicali in corso e dell'evoluzione organizzativa rapida e necessaria degli Studi Associati

Domanda: Avvocato Giacomini, Lei è il socio gestore dello Studio Conte & Giacomini di Genova, oltre che Rappresentante Territoriale di ASLA per la Regione Liguria e membro del Comitato Esecutivo dell’Associazione; sappiamo che è un professionista molto impegnato, in particolare nel settore del diritto penale, commerciale e dell’Unione Europea, e inoltre trova il tempo di svolgere il ruolo di relatore per convegni giuridici importanti, come quello di recente organizzato nella Sua città da ASLA stessa con la Camera Civile sul tema ‘Nuove opportunità per l'avvocatura: le norme tecniche nella legislazione nazionale e comunitaria’. Dove trova il tempo?

Risposta: In una parola: organizzazione!

D: Bene allora, avendoLa qui con noi, Glielo chiediamo senza mezzi termini: nello scenario generalizzato di crisi che tutti conosciamo, quali possono essere a parer suo le ‘nuove opportunità’ per i professionisti del settore legale?

R: Su questo mi occorre spendere qualche parola in più… Proprio il convegno di Genova svolto il 16 giugno scorso, che ha seguito la presentazione a Milano quest’anno delle prime certificazioni di Studi Legali Associati (compreso il nostro) in base al programma congiunto ASLA-RINA ‘Buona Governance: Professional Conduct Certified’, ha contribuito a dimostrare alle Colleghe e Colleghi interessati le occasioni di innovazione da cogliere per adeguare al vorticoso cambiamento della società contemporanea i modi di esercitare una professione ‘antica’ ma, come tutto, soggetta alle nuove esigenze in progressione sempre più rapida.

In particolare, la preminenza del diritto dell’Unione Europea e la progressiva apertura transnazionale di tutti i mercati (compreso quello dei servizi di consulenza!) determinano una crescente necessità per i professionisti di specializzarsi per materia e dotarsi di modelli organizzativi strutturati, che consentano di rispondere con competenza, in tempi rapidi e a costi concorrenziali alle richieste della clientela, specialmente quella d’impresa.

L’obbligo di trasparenza fiscale e di rispetto delle normative cogenti riguardanti la riservatezza dei dati personali (la cosiddetta ‘privacy’), le procedure ‘antiriciclaggio’ e la tutela della salute e della sicurezza nell’ambiente di lavoro, ad esempio, impongono agli studi professionali una struttura che ha sua volta ha aspetti di tipo imprenditoriale. E, d’altra parte, è purtroppo esperienza di molti che i margini di profitto si riducono; i volumi di attività devono quindi corrispondentemente orientarsi verso una crescita dimensionale, che possa migliorare il rapporto costi/benefici anche tramite ‘economie di scala’, senza ovviamente compromettere la qualità delle prestazioni offerte e la piena conformità ai principio della deontologia forense.

D: Restando al convegno di Genova, il Suo intervento è stato dedicato appunto al ‘Valore aggiunto della certificazione di qualità nell'organizzazione dello Studio Legale’: può descriverci brevemente l’esperienza del Vostro Studio?

R: Siamo orgogliosi per molti motivi di essere stati i primi a conseguire la nuova attestazione ASLA-RINA; volendo illuminare uno dei tanti aspetti positivi in termini di ricadute sulla nostra struttura, cito ad esempio che il percorso di certificazione rende esplicite, consapevoli e ‘vissute’ da tutti i membri dello Studio le regole operative e di comportamento derivanti dal ruolo dell’avvocato, e di chi lo assiste ad ogni livello per lo svolgimento della professione.

Certamente anche i rapporti ‘esterni’ ne beneficiano: i clienti, e più in generale gli interlocutori dello Studio, possono meglio percepire con chi hanno a che fare e quale ne sia il livello di affidabilità (non solo ‘sperato’, bensì ‘certificato’), senza dimenticare che a un certo livello di clientela si richiede da tempo che lo Studio professionale prescelto sia certificato nei requisiti di professionalità, operatività e conformità alle norme applicabili...

D: Ma lo Studio legale non si identifica da sempre con la credibilità e il prestigio di chi ne è titolare, senza necessità di alcuna ‘attestazione esterna’?

R: Come premessa, mi permetto di ricordare l’iniziativa sul piano del diritto europeo che negli anni passati ASLA ha condotto con successo nell’affermare, anche per il nostro Paese, la legittimità dell’utilizzo di una denominazione e marchio impersonale (cosiddetto ‘brand’) anche per identificare gli Studi Legali, vincolati per decenni da una normativa (di origine discriminatoria) a comunicare esclusivamente i nomi dei legali che ne facevano parte.

Ma l’inevitabilità del susseguirsi delle singole persone, e soprattutto la sempre più diffusa esigenza di ricorrere a modelli associativi per rafforzare le risorse e le competenze di tutto lo Studio, hanno reso – come da tempo nei Paesi più avanzati – l’utilizzo di un ‘brand’ indispensabile: è ad esso, e non più solo al singolo professionista (per quanto competente e affermato), che vanno attribuite quelle caratteristiche di qualità, documentate da una certificazione autorevole, condivise e giornalmente dimostrate da tutti coloro che dello Studio fanno parte, a prescindere dalle sue dimensioni.

D: In concreto, cosa richiedono i clienti?

R: La clientela, non solo quella d’impresa, ha imparato a informarsi (e le informazioni sono sempre alla portata di tutti, grazie fra l’altro a internet) e comparare le offerte anche nel settore dei servizi di consulenza professionale; vogliono comprendere come lavora lo Studio, se è adeguatamente assicurato, se l’incarico sarà svolto in modo efficace anche in assenza dei professionisti direttamente coinvolti… Certamente la persona del leader conta ancora molto, ma la ‘squadra’ è sempre più fondamentale. E questo insieme di fattori può fare la differenza.

D: Per concludere in tema di ‘evoluzioni’, può aiutarci a capire in generale come le normative tradizionali italiane si sono modificate per l’influenza del diritto dell’Unione Europea?

R: Certamente, tra le materie che trattiamo professionalmente, la legislazione e giurisprudenza europee rappresentano un elemento determinante, non solo sul piano tecnico ma anche sotto il profilo ‘culturale’. Ricordo che qualche decennio fa, quando studiavo all’Università, l’esame di ‘diritto comunitario’ (così si chiamava allora) neppure era obbligatorio: oggi invece tutto, o quasi, è condizionato dal diritto dell’U.E., anche nei settori più tradizionali (dal civile al penale, al fiscale, al diritto marittimo e dei trasporti, ecc.).

Io stesso, come avvocato penalista (sotto il profilo della specializzazione nazionale), sperimento ogni giorno quanto il diritto e l’approccio ‘europeo’ – anche in quest’area di gelosa protezione nazionale – pervadano la comprensione e il modo stesso di affrontare le questioni giuridiche: e sono già alle porte, dopo una faticosa gestazione, la costituzione di una ‘Procura Europea’ e la definizione di veri e propri ‘reati federali’, preceduti (con operatività entro l’anno prossimo) dal nuovo strumento dell’Ordine Europeo di Indagine, elemento molto concreto dello spazio giudiziario europeo.

Un ultimo esempio: il ricorso recentemente presentato alla Commissione Europea da varie associazioni nazionali contro ben tredici Stati Membri, per le gravi violazioni del Regolamento che prescrive standard minimi di cura nel trasporto di animali vivi verso Paesi extra-UE. L’apertura verso questo nuovo e reale ambiente giuridico europeo e transnazionale è davvero a mio parere un elemento decisivo, per l’avvocato che non intende restare ancorato al passato ma essere protagonista (e beneficiario) del cambiamento in atto ovunque, per sé e per il contesto in cui opera.